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Codici a specchio e pericolosità dei rifiuti: la corte di giustizia dice la sua

17 aprile 2019

Conversazione con l’avv. Luciano Butti – B&P Avvocati

Di quale caso stiamo parlando? E in quale Paese si è verificato?

Il Paese è l’Italia. Alcuni soggetti operanti nella gestione dei rifiuti erano accusati di avere classificato e gestito come non pericolosi rifiuti che, applicando criteri diversi di classificazione, avrebbero potuto essere qualificati come pericolosi. Si trattava di rifiuti con codice a specchio, vale a dire rifiuti la cui natura, pericolosa o non pericolosa, non è stabilita a priori, in via assoluta, dalla legge, ma deve essere determinata dal produttore/detentore all’esito di uno specifico accertamento.

Perché si è dovuti arrivare sino in Corte di Giustizia per discutere di questioni molto tecniche relative ai rifiuti?

Perché vi erano rilevanti incertezze, e tesi diverse, su un punto fondamentale: quale dovesse essere l’accertamento da svolgere sui questi rifiuti per determinarne la pericolosità o meno.

Quali erano le diverse tesi in discussione?

Secondo una prima tesi (che la Corte non ha accettato) l’analisi chimica avrebbe dovuto riguardare tutte le componenti del rifiuto.

Una seconda tesi (poi seguita dalla Corte) applicava invece un criterio di “pertinenza” delle sostanze rispetto alle caratteristiche ed alla genesi del rifiuto. Secondo la Corte, infatti, «il legislatore dell’Unione opera un bilanciamento tra il principio di precauzione e la fattibilità tecnica e praticabilità economica, in modo che i detentori di rifiuti non siano obbligati a verificare l’assenza di qualsiasi sostanza pericolosa nel rifiuto in esame».

Quali sono le principali conseguenze operative della decisione?

Oggi il produttore/detentore del rifiuto ha l’obbligo di raccogliere tutte le informazioni possibili sulla natura e sulle caratteristiche dei propri rifiuti caratterizzati da codici a specchio. Deve poi indagare le sostanze “pertinenti”, per adottare una decisione informata sulla pericolosità o meno del rifiuto. Soltanto ove vi sia assoluta impossibilità di individuare le sostanze pertinenti, il rifiuto deve essere per precauzione considerato pericoloso.

Sull'intervistato

Dopo essere stato magistrato giudicante dal 1984 al 1997, Luciano Butti è divenuto partner di B&P Avvocati nel 1998. Professore di diritto internazionale dell’ambiente presso l’Università di Padova, ha collaborato con diverse università italiane. Nel 2015 partecipa ad un Tavolo Tecnico istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri con l’obiettivo di approfondire tematiche riguardanti la regolamentazione delle bonifiche dei siti contaminati. All’interno dello Studio, segue principalmente la consulenza stragiudiziale e il contenzioso presso la Corte di Cassazione e le altre giurisdizioni superiori, nonché i progetti di ricerca in Italia ed all’estero e le attività di docenza e di editoria.

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