Lo smart working ai tempi del coronavirus: cultura, tecnologia e misurazione
28 febbraio 2020
28 febbraio 2020
L’emergenza sanitaria del Covid-19 ci ha imposto di rallentare i nostri ritmi e di applicare delle regole di tutela collettiva a cui non eravamo abituati
Eravamo a fine febbraio e sono bastate 48 ore perché il nord del nostro Paese piombasse in un surreale coprifuoco, estesosi poi inesorabilemente a tutto il Paese nelle settimane successive. L’emergenza sanitaria del Covid-19 ci ha imposto di rallentare i nostri ritmi e di applicare delle regole di tutela collettiva a cui non eravamo abituati.
Sono bastate le stesse 48 ore, poi, perché le aziende del nostro Paese, perfino quelle un tempo più restie, scoprissero che lo smart working le poteva salvare. In, temprati da circa 10 anni di smart working ante-litteram, con un’accelerazione negli ultimi anni che lo ha esteso praticamente a tutti (sì, perfino a chi è in reception!), abbiamo vissuto questo esperimento sociologico un po’ come osservatori privilegiati.
Il nostro regolamento aziendale ci permette di lavorare da remoto fino a 3 giorni a settimana e, in questa situazione particolare, li abbiamo aumentati a 5, anche adesso nella cosiddetta Fase 3. Intorno a noi, abbiamo osservato un tessuto produttivo fatto di clienti, fornitori e partner, spesso in difficoltà o a volte costretti a bloccare le proprie attività perché non altrettanto dotati di misure valide per attivare lo smart working. In alcuni casi, forti del, che ha disciplinato e dunque agevolato in via transitoria il lavoro agile nei territori interessati dall’allarme coronavirus, abbiamo assistito a casi in cui lo smart working è stato applicato per la prima volta in modo così massivo, ma, con comprensibili difficoltà organizzative e, comunque, con un rallentamento operativo importante.
Lo smart working non si improvvisa, di questo siamo consapevoli, ma siamo in un momento storico in cui la maggior parte delle aziende e una vasta proporzione di ruoli professionali, possono farvi ricorso in maniera continuativa ed efficace e in tempi, tutto sommato, ragionevoli. Parola di chi ci è già passato.
Cultura e tecnologia, sono due elementi imprescindibili per implementare un programma di smart working efficace. Cultura vuol dire fiducia, flessibilità e apertura al cambiamento, mentalità orientata all’obiettivo e non alla pura presenza fisica o al controllo. Significa anche senso di responsabilità personale, conoscenza delle norme di sicurezza sul lavoro. E poi, vuol dire anche mettere in pratica delle misure adatte per accompagnare i propri collaboratori in questa trasformazione. Lo sa bene la nostra Culture Manager, una figura ad hoc che abbiamo introdotto lo scorso anno per potenziare e supportare il nostro programma di smart working.
Tecnologia vuol dire avere gli strumenti giusti per poter lavorare da un luogo che non sia l’ufficio – non necessariamente casa propria – e con la stessa efficacia. Un computer, una buona connessione internet, degli strumenti di lavoro condiviso in cloud, una postazione ergonomica e così via…Neanche la tecnologia si improvvisa, ma oggi è aperta a tutti e bisogna cogliere le opportunità del nostro tempo.
A chi mi dice che lo smart working non può sostituire le relazioni umane, rispondo che è vero e che, infatti, lo spirito di questo strumento è la flessibilità, non l’alienazione tecnologica: alcuni giorni lavoro in ufficio, altri sto a casa o in un altro luogo attrezzato, in funzione degli impegni lavorativi che condivido con il mio team.
Infine, un’altra parola chiave:misurazione. È utile misurare i risultati e i benefici dello smart working? E come farlo? Sono le domande che ci siamo posti quando tre anni fa abbiamo creato il nostro Osservatorio interno sullo Smart Working. Sapevamo che per implementare e poi consolidare un cambiamento in un’organizzazione occorreva anche saper interpretare il feedback dei protagonisti, raccogliere e leggere i dati. Con gli spostamenti evitati grazie allo smart working i lavoratori risparmiano tempo prezioso, emissioni inquinanti, denaro. Le aziende risparmiano spazio occupato negli uffici. La collettività e l’ambiente guadagnano in qualità di vita.
Smafelyè nato quasi per caso, per passione, per misurare tutti questi indicatori che sapevamo essere importanti per capire il vero impatto della trasformazione che avevamo messo in atto. Oggi, questo software, che abbiamo sviluppato e testato prima su di noi, è diventato un’applicazione web, grazie alla collaborazione con un team molto “smart” come quello della start up innovativa. Abbiamo appena avviato una fase di test con altre aziende interessate e, intanto, i nostri numeri ci confermano che siamo sulla buona strada.
In 18 mesi, calcolando solo un giorno di smart working per 100 dipendenti, in 鶹ý abbiamo risparmiato complessivamente:
Durante il lockdown, con l’aumento del numero di persone in smart working e dei giorni dedicati a questa modalità lavorativa, c’è stata chiaramente un’impennata nei risparmi registrati. Un dato su tutti: nel solo mese di aprile 2020 (ma lo stesso vale per marzo) abbiamo risparmiato la quantità di CO2 (15 tonnellate) che nel 2019 abbiamo risparmiato in circa 9 mesi. Se consideriamo i mesi di marzo e aprile 2020, in pratica, abbiamo risparmiato una quantità di CO2 che in tempi normali avremmo risparmiato approssimativamente in un anno e mezzo.
È una storia che raccontiamo con piacere e con un certo orgoglio, perché è la storia che viviamo tutti noi, ogni giorno, e che ha un impatto incredibilmente positivo sulla nostra vita professionale e personale.
PS A proposito, se siete interessati a testare anche voi Smafely o a qualche consiglio su come implementare lo smart working, contattateSilvia Maestri, la nostra Culture Manager oGloria De Masi Gervais, la nostra responsabile comunicazione.